Dott.ssa Castrucci Lucilla

Psichiatria

Ariccia, Studio Medico Dott.ssa Castrucci Lucilla

DEPRESSIONE E DOLORE CRONICO HANNO TANTI MECCANISMI IN COMUNE

La relazione tra depressione e dolore cronico è complessa. Numerosi studi indicano l’esistenza molto probabile di una causalità bidirezionale. La presenza di sintomi dolorosi in pazienti con depressione e di depressione in soggetti con dolore cronico è sicuramente superiore a quanto ci si potrebbe aspettare. I tassi di prevalenza di sintomi dolorosi in soggetti con disturbi dell’umore variano dal 15% al 100% a seconda della modalità con cui vengono raccolti i dati e a seconda della sintomatologia dolorosa. Alcune caratteristiche: il sesso femminile, un basso livello scolastico, la condizione di disoccupazione e l’età avanzata sono risultate associate ad una maggiore prevalenza di sintomi dolorosi in soggetti con disturbo depressivo.

Uno dei modelli proposti per spiegare l’associazione tra dolore e depressione ipotizza che la depressione possa condizionare la trasmissione nocicettiva alterando la soglia di percezione del dolore o determinando un fenomeno infiammatorio cronico che comporta l’esordio dei sintomi dolorosi. Questa ipotesi viene supportata dai risultati di alcuni studi che hanno dimostrato che la presenza di depressione predice lo sviluppo successivo di sintomi dolorosi. E’ altrettanto vero che la presenza di dolore cronico rappresenta un fattore di rischio per la depressione . Varie condizioni somatiche dolorose, cosiddette funzionali, sono state studiate: tra esse la fibromialgia, la sindrome del colon irritabile e la cefalea muscolo-tensiva. Altre ricerche si sono occupate d’indagare l’associazione tra depressione e dolore nelle patologie oncologiche e in caso di dolore neuropatico. C’è poi da considerare che la presenza di sintomi dolorosi, può mascherare una condizione depressiva, in modo tale da rendere meno probabile la ricerca di aiuto, di tipo psicologico, da parte del paziente. Si stima che circa il 50% delle condizioni depressive non vengono correttamente diagnosticate nell’ambito della medicina generale e i sintomi dolorosi sono tra quelli che più frequentemente conducono ad una misdiagnosi. Dal punto di vista clinico occorre tener presente che gli studi epidemiologici evidenziano l’associazione tra la presenza di sintomatologia dolorosa, non attribuibile a condizioni mediche specifiche, e ideazione o comportamenti suicidari. Inoltre se la sintomatologia dolorosa accompagna una condizione clinica depressiva, i tassi di suicidio risultano superiori rispetto a quelli riscontrati nel disturbo depressivo senza sintomi dolorosi. Infine, molti studi, di economia sanitaria, hanno rilevato come enorme sia l’impatto della compresenza di sintomi dolorosi e depressione, in termini di utilizzo di risorse sanitarie, costi associati all’assistenza e giorni lavorativi persi o giorni lavorativi con funzionamento compromesso.

Meccanismi biologici della depressione e del dolore cronico
Le ricerche indicano che nel dolore cronico le sensazioni dolorose sono amplificate per una disfunzione delle sostanze che regolano la percezione del dolore, in particolare serotonina e noradrenalina. Una disfunzione di questi neurottrasmettitori è presente anche nella depressione. Inoltre, è ormai noto, che le citochine proinfiammatorie, presenti nelle condizioni di dolore cronico, possono raggiungere il Sistema Nervoso Centrale attivando uno stato di neuroinfiammazione che predispone alla depressione. A sua volta la neuroinfiammazione produce molecole proinfiammatorie che raggiungono l’intero organismo favorendo l’insorgenza del dolore.

Secondo l’ipotesi aminergica
nella depressione, il disturbo dell’umore sarebbe causato da una carenza, a livello sinaptico, di serotonina , noradrenalina e dopamina . Tuttavia queste molecole non possono essere considerate semplicemente come neuro-trasmettitori, perché, in realtà, sono dei trasmettitori sistemici: la serotonina ha importanti azioni su altri organi e sistemi, come quello intestinale https://www.medicinaxtutti.it/2020/03/28/il-secondo-cervello-perche-se-ho-lansia-mi-viene-il-mal-di-pancia/, quello vasale e nella regolazione dei tempi di raggiungimento dell’orgasmo. Lo stesso discorso vale per la norepinefrina, che non solo modula l’umore, l’ansia, l’attentività e l’energia ma esercita, come noto, una importante azione regolatoria sul sistema nervoso autonomo.

La sensazione dolorosa registrata dai nocicettori distribuiti in tutto l’organismo raggiunge la corteccia cerebrale, dove viene elaborata, passando attraverso il midollo spinale. A livello del midollo sono stati descritti due sistemi di modulazione del dolore: quello delle vie inibitorie discendenti ed il sistema del Gate Control . La corteccia cerebrale, l’ipotalamo, il talamo, la sostanza grigia periacquiduttale, il nucleo del rafe, l’amigdala ed il locus ceruleus inviano assoni discendenti che vanno a prendere connessione, direttamente o tramite interneuroni, con i neuroni delle vie del dolore posti nelle corna posteriori del midollo spinale. Qui, attraverso l’azione di noradrenalina, serotonina ed endorfine, avviene la modulazione della trasmissione del dolore. Secondo la teoria del cancello proposta da Melzak e Wall a livello delle corna dorsali del midollo spinale, esiste un gate control, in grado di modulare la trasmissione delle informazioni dolorose dalla periferia al sistema nervoso centrale.





(Basi biologiche della depressione Metis)



I ricercatori dell’Università di Hokkaido, in uno studio pubblicato su The Journal of Neuroscience, hanno esaminato come le vie neuronali sono influenzate dal dolore cronico nei ratti. Il dolore persistente causa cambiamenti nella via neuronale che va dal nucleo della stria terminale all’ area tegmentale ventrale. In particolare, i segnali mediati dalla corticotropina(CRF), un neuropeptide coinvolto nelle emozioni come ansia e paura, risultano potenziati nel dolore cronico. I ricercatori hanno scoperto che quando i ratti sono trattati con un farmaco che blocca il rilascio di corticotropina, l’attività dei neuroni della dopamina, che hanno un ruolo importante nel sistema di ricompensa del cervello, è aumentata. Ciò suggerisce che in futuro potrebbero essere sviluppati farmaci destinati ai neuropeptidi come il CRF al fine di trattare il dolore cronico e la depressione.

le evidenze che legano la depressione all’infiammazione
sono riconducibili ad alcune osservazioni:

i pazienti affetti da depressione e che non presentano altre malattie, hanno vie infiammatorie attivate che si manifestano con un aumento di citochine pro-infiammatorie, chemiochine e molecole di adesione

tra i pazienti affetti da malattie infiammatorie che riguardano il sistema nervoso centrale o quello periferico c’è una maggiore prevalenza di depressione

i pazienti trattati con citochine presentano un aumentato rischio di sviluppare la depressione

inoltre, pazienti con disturbi depressivi, presentano alterati livelli di marker infiammatori sia a livello ematico che liquorale. In particolare, le alterazioni della proteina reattiva C e delle citochine tumour necrosis factor(TNF)-ɑ ed interleuchina(IL)-6 sono state confermate grazie alla revisione di numerosi lavori scientifici. E’ interessante notare che le anormalità descritte vengono in parte normalizzate da terapie con antidepressivi, confermando così il ruolo delle molecole infiammatorie nello sviluppo e nella progressione della malattia. Del resto gli antidepressivi vengono anche utilizzati, con successo, anche nelle sindromi da dolore cronico https://www.medicinaxtutti.it/2020/04/20/la-fibromialgia-non-e-una-malattia-immaginaria/

Recentemente è stato provato che nella depressione e nel dolore esistono alterazioni ormonali comuni, specie nel circuito dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e nella sintesi di ormoni a produzione neuronale. L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene viene fisiologicamente attivato durante lo stress. C’è oramai un generale consenso nel ritenere che lo stress psicosociale sia un fattore precipitante la comparsa della sintomatologia depressiva. E non c’è nulla di più stressante di provare un dolore cronico e sentirsi etichettati come “malati immaginari”, a questo si aggiunge la possibile crescente aggressività dell’ambiente familiare o professionale, quando i medici definiscono il dolore come psicogeno.

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