Dott. Vannelli Alberto

Chirurgia generale

Chirurgia del retto

In Italia i tumori del retto, insieme a quelli del colon, registrano 48.000 nuovi casi all'anno. A questo numero si aggiunge quello ancora pi๠drammatico dei morti: una scia di oltre 16.000 casi all'anno. Numeri che, nella loro crudezza, fanno paura, eppure tendono ad essere taciuti dalla comunità  medica come dall'opinione pubblica. I tumori del retto, insieme a quelli del colon, rappresentano la seconda-terza causa di morte in relazione alle diverse aree geografiche italiane. E' stata osservata una maggiore incidenza del tumore al nord rispetto al sud del Paese, dove però le donne si ammalano in misura maggiore.
In numerose occasioni è stata posta l'attenzione sullo scarso livello di consapevolezza di questa malattia da parte dei cittadini. Ciò appare ancora pi๠paradossale ed inaccettabile se si considera che il tasso di mortalità  potrebbe essere drasticamente ridotto. Come ricordato già  in molti convegni: nonostante questi tumori siano tra i quattro big killer dell'oncologia, circa tre italiani su quattro non hanno mai effettuato alcun controllo per prevenirli.
Questo risulta ancora pi๠paradossale se si pensa che, a differenza di altri tipi di tumore, il 90% dei pazienti, grazie ad una diagnosi precoce e soprattutto ad un trattamento chirurgico tempestivo, potrebbe guarire. Infatti, nelle regioni in cui il ruolo della prevenzione è precoce (campagne di screening diffuse), la lotta contro il tumore continua a registrare crescenti successi. Ma quando la diagnosi è stata fatta cosa c'è da fare?
Anzitutto, non lasciarsi prendere dal panico.
Il consiglio è quello di rivolgersi presso un centro specializzato (reparti di chirurgia oncologica gastroenterologica con alti volumi di interventi e basse complicanze), solo in questo modo è possibile ottenere la migliore risposta. Anche se il tumore è una malattia importante, grazie ai progressi in campo chirurgico degli ultimi anni, è possibile curarlo con successo.
E' importante tenere a mente che, rispetto ad altre forme di tumore, quello del retto è una malattia principalmente chirurgica. La chirurgia, a tutt'oggi, rappresenta la prima opzione terapeutica: la pi๠efficace e sicura. Non è certo che il dilazionare l'intervento peggiori la prognosi, ma è pur vero che il trascorrere del tempo ingenera ansia nel paziente, per cui è sempre raccomandabile ridurre il tempo d'attesa. La sopravvivenza è legata allo stadio della malattia al momento della diagnosi ed è di circa pari al 95% (a 5 anni dalla diagnosi) nei pazienti con malattia iniziale in cui la chirurgia sia radicale. La sopravvivenza dei pazienti con malattia avanzata "œmetastatica" è invece del 9%, ma sale al 20% per i casi in cui la chirurgia sulle metastasi sia radicale.
La cura dei tumori del retto necessita di una chirurgia radicale, oggi come in passato, tuttavia le evoluzioni ed innovazioni degli ultimi venti anni sono state tali da non essere pi๠possibile effettuare confronti.
Nel passato la scelta chirurgica era considerata alla stregua di una sentenza capitale: sacchetto per sempre; questi interventi demolitivi del passato comportavano pesanti mutilazioni con danni funzionali e un'innegabile riduzione della qualità  di vita. Oggi, fortunatamente, non è pi๠cosà.
Il retto è l'ultima parte dell'intestino dove ci si "œgioca" la possibilità  di mettere un sacchetto (ovvero l'apertura dell'intestino sulla parete addominale con la creazione del cosiddetto ano artificiale, un'uscita che consenta di raccogliere le feci con appositi presidi: sacchetti) o di mantenere l'integrità  mediante tecniche di ricostruzione intestinale. La sede di insorgenza della malattia, infatti, non rappresenta pi๠il fattore che determina la scelta dell'intervento: sono disponibili, grazie ai progressi tecnici e dei trattamenti integrati (chemioterapia e radioterapia da eseguire prima dell'intervento solo in casi selezionati), molte alternative.
"¨Fra i procedimenti conservativi, rivestono grande interesse tutte le tecniche che garantiscono la conservazione dello sfintere anale e la possibilità  di evitare il sacchetto definitivo. Queste tecniche permettono di unire la radicalità  oncologica, con un soddisfacente recupero funzionale soprattutto per i tumori vicino allo sfintere anale. E' importante ricordare che la scelta sulla tecnica chirurgica pi๠appropriata potrà  essere effettuata solo dopo un'attenta visita del chirurgo oncologo. Appare evidente ancora una volta l'importanza della scelta di un centro di chirurgia oncologica gastroenterologica nel trattamento dei tumori del retto.
Come in tutti i lavori, ma nella chirurgia dei tumori del retto ancor di pià¹, il risultato può essere raggiunto a patto che siano rispettate poche ma fondamentali regole.
Primo enunciato: la caccia al tesoro. Ogni "œcaccia al tesoro" prevede, prima di tutto, una mappa. Tanto pi๠dettagliata è la mappa tanto prima arriverò al tesoro. In questo caso la mappa è rappresentata dagli esami che devono essere fatti per studiare la zona della malattia sede dell'intervento: ogni esame fornice solo alcune informazioni ed è per questo che è importante eseguire il maggior numero di esami per avere il maggior numero di informazioni utili per curare e guarire la malattia (TAC, Risonanza magnetica, ecoendoscopia trans rettale eventualmente PET). A questo punto il chirurgo può decidere se bisogna eventualmente fare direttamente l'intervento o un trattamento preoperatorio (chemio e radioterapia). Il trattamento preoperatorio può, in casi selezionati, ridurre lo stadio di malattia, permettendo quindi interventi con un rischio pi๠basso di recidiva (ridurre il rischio che la malattia ritorni nella sede dell'intervento). Con tutti questi elementi alla mano, il chirurgo potrà  proporre al paziente il tipo di intervento pi๠appropriato. L'approccio è legato alle condizioni del paziente e va discusso preventivamente, fermo restando la tecnica che deve essere una sola: garantire la radicalità  oncologica nel rispetto della qualità  della vita. Quello che può variare è la via di accesso o meglio il taglio: accesso laparotomico tradizionale, laparoscopico (chirurgia minivasiva) o chirurgia robotica.
Secondo enunciato: il sacchetto delle biglie. La regola da cui partire è che la malattia può essere curata solo asportando in maniera completa tutto il tessuto malato e l'organo che lo contiene. Questo significa che il retto e le strutture che lo costituiscono (parete intestinale, mesoretto e linfonodi) devono essere asportati durante lo stesso intervento contemporaneamente alla malattia e, cosa pi๠importante di tutte, senza danneggiare il pezzo. Concettualmente devo pensare di portare via un sacchetto che contiene delle biglie senza rompere il sacchetto altrimenti corro il rischio di far cadere le biglie (cioè disseminare cellule tumorali in addome durante l'intervento). Per arrivare a questo risultato è importante partire da una dettagliata conoscenza dell'anatomia, che intuitivamente può essere ottenuta solo dedicandosi a questa chirurgia in modo specialistico.
Anche il decorso post operatorio, che viene spesso sottovalutato, riveste invece un'importanza fondamentale: un decorso senza complicanze, con buon controllo del dolore e con ripresa veloce dell'alimentazione garantisce inoltre un pi๠rapido reinserimento nella vita sociale. Tutto questo è possibile solo nei reparti di chirurgia oncologica gastroenterologica. Il resto, che viene chiamato follow-up, è il tempo dei controlli.
Tutto questo è la chirurgia dedicata del retto: il frutto di una lunga preparazione e di chirurgia oncologica gastroenterologica, ma che in definitiva è l'unica garanzia per un vero successo terapeutico.
L'Italia, nonostante le difficoltà  nel realizzare una capillare quanto omogenea rete oncologica, è riuscita a garantire la progressiva riduzione della mortalità  e una sopravvivenza che è la pi๠alta rispetto alla media europea. Questi risultati sono espressione delle ottime capacità  del nostro sistema sanitario che, laddove intercetta il consenso del cittadino, è capace di produrre risultati eccellenti. La sfida del futuro è quella di rendere la qualità  chirurgica un bisogno del cittadino prima ancora che del paziente